”Quando si dice ‘io so’, non si sa, si crede. Credo che l’arte sia la sola forma di attività attraverso cui l’uomo in quanto tale si manifesta come vero individuo. Solo attraverso essa egli può superare lo stadio animale, poiché l’arte è uno sbocco su regioni dove non dominano né il tempo, né lo spazio. Vivere è credere; almeno è quello che credo io”. L’autore della frase è forse il più rivoluzionario artista che il XX secolo abbia conosciuto: Marcel Duchamp, che ipotizza che l’arte non solo sia l’unica forma con cui l’uomo trasforma il reale umanizzandolo – quindi proiettandosi nell’oggetto ed insieme venendo a prendere coscienza contemporaneamente di sé, del proprio modo di operare – , ma sia persino l’unica via attraverso la quale egli può superare la sua condizione “animale” per attingere ad una dimensione che l’artista definisce “spirituale”, ma che noi oggi potremmo dire, con maggior precisione, “concettuale”. L’arte del resto è dare la propria forma al mondo. Molti animali, tra cui diversi primati, sono in grado di creare “strumenti”, cioè di trasformare materiali per formare, in caso di necessità, qualcosa che non esisteva. Basta l’esempio della scimmia assetata che vede dentro un buco nella roccia dell’acqua che non può raggiungere con la bocca, per cui masticando delle foglie crea una specie di spugna che le permette di abbeverarsi. Ma gli oggetti dell’uomo hanno un qualcosa di più e di estraneo all’utilità, che è un valore estetico che si interseca con un valore morale.